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Il groin pain, o pubalgia che dir si voglia, non rappresenta di per sé una diagnosi ma descrive solamente un sintomo che è sostanzialmente rappresentato da una sintomatologia algica a livello della zona pubica. Le tendinopatie e le entesopatie degli adduttori, e le loro possibili associazioni, sono molto spesso fonte di groin pain. Tuttavia, le cause di groin pain possono essere molteplici, tanto è vero che alcuni Autori (Omar e coll., 2008) propongono di basare la diagnosi su 37 patologie principali, suddivise in 10 diverse categorie (Tavola 1). Nello specifico Omar e coll. (2008) includono le tendinopatie e le entesopatie degli adduttori sotto la voce “disfunzioni dell’unità muscolo-tendinea dei muscoli adduttori”, a sua volta inclusa nella categoria comprendente le cause pubico-sinfisarie.

Dal momento che le possibili cause di groin pain, oltre che essere numerose, sono spesso associabili, appare immediatamente chiara l’importanza di una pronta e corretta diagnosi. In letteratura è possibile reperire un buon numero di studi che prendono in considerazione il groin o l’hip pain associati ad una patologia a carico dell’unità muscolo tendinea (UMT) degli adduttori (Baeyens, 1987; Hayes e coll., 1987; Martens e coll., 1987; Tonsoline, 1993; Ashby, 1994; Weinstein e coll., 1998; Braun e coll., 2007; Topol e Reeves, 2008; Avrahami e Choudur, 2010). 

Le differenti cause di pubalgia proposte da Omar e coll.,2008

Categoria I:

cause viscerali

Ernia inguinale

Altri tipi di ernie addominali

Torsione testicolare

Categoria II:

cause associate all’articolazione coxo-femorale

Lesione del labbro acetabolare ed impingement femoro-acetabolare

Osteoartrosi

Anca a scatto e tendinopatia dell’ileopsoas

Necrosi avascolare

Sindrome della bandeletta ileotibiale

Categoria III:

cause pubico-sinfisarie

Lesioni del retto addominale

Disfunzioni dell’unità muscolo-tendinea dei muscoli adduttori

Lesioni dell’aponeurosi comune del muscolo retto addominale e dell’adduttore lungo

Osteite pubica

Categoria IV:

cause infettive

Artrite settica

Osteomielite

Categoria V:

patologie infiammatorie pelviche

Prostatite

Epididimite ed orchite

Herpes

Categoria VI:

cause infiammatorie

Endometriosi

Patologie infiammatorie intestinali

Patologie infiammatorie pelviche

Categoria VII:

cause traumatiche

Fratture da stress

Avulsioni tendinee

Contusioni muscolari

Baseball pitcher–hockey goalie syndrome

Categoria VIII:

cause connesse allo sviluppo

Apofisiti

Lesioni da stress o fratture dei piatti di accrescimento

Sindrome di Legg-Calvé-Perthes

Displasia

Epifisiolisi

Categoria IX:

cause neurologiche

Sindrome da intrappolamento nervoso

Dolore riferito

Sacroileite

Intrappolamento del nervo sciatico (sindrome del piriforme )

Lesione degli ischio crurali

Anterior knee pain

Categoria X:

cause neoplastiche

Carcinoma testicolare

Osteoma osteoide

 

La diagnosi clinica

La diagnosi di tendinopatia degli adduttori deve basarsi sia sull’evidenza clinica, che su quella radiologica (Avrahami e Choudur, 2010) al fine di porre una diagnosi di certezza senza la quale è impossibile impostare un corretto piano terapeutico. La tendinopatia degli adduttori deve essere sospettata quando l’anamnesi rivela una storia di groin pain e il paziente lamenta una sintomatologia algica durante una contrazione isometrica della muscolatura adduttoria stessa. Falvey e coll. (2009) al fine di facilitare l’esame clinico, hanno introdotto l’interessante ed utile concetto di “Pubic Clock”, suddividendo le patologie a carico della zona pubica in funzione dell’ipotetica disposizione delle ore su di un quadrante di un orologio.

In questo caso la tendinopatia degli adduttori, ed in particolare dell’adduttore lungo, è ipotizzabile quando la zona in cui il paziente lamenta la sintomatologia algica si trova a livello delle 6.30 del Pubic Clock. La sintomatologia lamentata dal paziente presenta un’insorgenza di tipo subdolo e progressivo, anche se talvolta dall’anamnesi remota può emergere un evento di origine traumatica a carico della muscolatura adduttoria o, più raramente, a carico di quella addominale. La sintomatologia algica si acuisce in situazione di affaticamento ed è maggiormente pronunciata alla fine dell’attività sportiva. Generalmente il giorno successivo ad una sessione di allenamento il soggetto lamenta una sensazione di stiffness ed i movimenti di abduzione sono dolorosi. La sintomatologia algica proviene dalla zona pubica e s’irradia distalmente sul versante mediale della coscia. Pain increases wit.

I principali test clinici utilizzati nell’esame clinico in caso di sospetto della tendinopatia degli adduttori sono:

i. Contrazione isometrica a gambe estese con resistenza prossimale a livello delle ginocchia;

ii. Contrazione isometrica a gambe estese con resistenza distale a livello dell’articolazione delle caviglie;

iii. Contrazione isometrica a gambe estese e divaricate con resistenza distale a livello dell’articolazione delle caviglie;

iv. Contrazione isometrica a gambe flesse con resistenza prossimale a livello delle ginocchia.

E’ a nostro avviso molto importante quantificare attraverso una scala VAS la sintomatologia dolorosa lamentata dal paziente durante la somministrazione dei test clinici. Secondo la nostra esperienza clinica in caso di tendinopatia della muscolatura adduttoria, ed in particolare nel caso di tendinopatia dell’AL, la sintomatologia dolorosa lamentata dal paziente aumenta con il test resistenza distale rispetto a quello effettuato con resistenza prossimale, per divenire massima nel test di resistenza distale ad arti inferiori divaricati. La diagnosi differenziale deve essere principalmente posta con le lesioni acute della MTJ o del ventre della muscolatura adduttoria, la sacro-ileite e le disfunzioni dell’articolazione sacro-iliaca (Avrahami e Choudur, 2010), l’osteite pubica (Major e Helms, 1997), una borsite trocanterica o della borsa dell’ileopsoas (Kingzett-Taylor e coll., 1999; Nunley e coll., 2010), impingement dell’articolazione coxo-femorale, coxartrosi, (Martens e coll., 1987; Davies e coll., 2009), ernia inguinale (Iles, 1968; Omar e coll., 2008), sport ernia (Kumar e coll., 2002; Connell e coll., 2006; Koulouris, 2008), lesioni e/o tendinopatie a carico del m. ileopsoas e del m. retto femorale (Martens e coll., 1987; Koulouris, 2008) Nella diagnosi differenziale occorre anche considerare possibili discopatie, bulging, ernie o sindrome delle faccette articolari posteriori a livello L1 ed L2. Il nervo ileo inguinale origina infatti nel segmento vertebrale compreso tra T2 ed L1 ed il nervo genitofemorale prende origine a livello delle radici nervose di L1 ed L2. Una radicolopatia a livello delle radici nervose sia del nervo ilionguinale, che di quello genitofemorale può mimare una tendinopatia adduttoria (Marks, 1989; Anderson e coll., 2001).

Trattamento

Il trattamento conservativo è basato su molteplici tipi di approccio che includono la farmacoterapia e la riabilitazione attiva e/o passiva (Verral e coll., 2007; Jansen e coll., 2008). I protocolli riabilitativi sono spesso decisi in base all’esperienza personale del terapista invece che su protocolli standardizzati avvallati da evidenza, che peraltro non sono attualmente reperibili in letteratura. Alcuni Autori sottolineano l’importanza del fatto che il trattamento conservativo debba essere preceduto da un periodo di riposo di lunghezza variabile (Jansen e coll., 2008), a nostro avviso tale concetto è comunque discutibile. Riveste invece un’importanza fondamentale il fatto che il piano di lavoro preveda un’accurata scelta delle esercitazioni ed una loro corretta progressione, in termini d’intensità, frequenza, durata e modalità di somministrazione. In ogni caso, basandosi sull’attuale letteratura, il trattamento conservativo permette di raggiungere la guarigione completa in circa l’80% dei casi’, ed è comunque raccomandato, come prima scelta terapeutica, dalla maggioranza 18 degli Autori (Durey e Rodineau, 1976 ; Arezky e coll., 1991 ; Christe e coll., 1996 ; Gilmore, 1998; Lynch e Renström, 1999; Orchard e coll., 2000; Nicholas e Tyler, 2002; Vidalin e coll., 2004). Sempre a proposito del trattamento conservativo della tendinopatia degli adduttori, è bene ricordare come le evidenze sull’utilizzo dei fattori di crescita di derivazione piastrinica nelle patologie tendinee siano, ad oggi, contraddittorie (Peerbooms e coll., 2010; Randelli e coll., 2011; De Almeida e coll., 2012; Gumina e coll., 2012). Dal momento che la maggioranza dei pazienti affetti da tendinopatia adduttoria risponde positivamente al trattamento conservativo, in letteratura non si ritrovano molti studi che riportino di fallimenti del trattamento conservativo nel caso di pubalgia causata da tendinopatia adduttoria (Atkinson e coll., 2010). La tenotomia degli adduttori viene proposta quindi solo nel caso di fallimento del trattamento conservativo (Martens e coll., 1987; Akermark e Johansson, 1992; Lohrer e Nauck, 2007 ; Atkinson e coll., 2010 ; Robertson e coll., 2011). I criteri che giustificano questo tipo di scelta sono rappresentati da una pregressa e lunga storia di tendinopatia inveterata (che si protragga perlomeno da un periodo compreso tra i 3 ed i 48 mesi, secondo il parere dei diversi Autori), una distinta sintomatologia dolorosa a livello dell’AL e la refrattarietà ad ogni tipo di trattamento conservativo. L’intervento prevede il releasing delle fibre legamentose anteriori dell’AL, mantenendo intatta la parte carnosa del muscolo nel suo aspetto profondo, minimizzando in tal modo la perdita di forza del muscolo stesso e preservando, nel contempo una “sagoma anatomica” che permetta la possibilità di una futura ricrescita del tendine. I pazienti sottoposti a tenotomia subiscono una riduzione della capacità contrattili dell’AL pari a circa il 10%. Tale modesto deficit, di norma, non comporta nessuna limitazione funzionale nell’espletazione del gesto atletico, anche grazie al fatto che l’AB, il GA ed il pettineo compensano agevolmente la modesta perdita di forza dell’AL (Schlegel e coll., 2009; Garvey, 2012). Inoltre, alcuni studi elettromiografici testimoniano di come l’AL mostri un’attività minima sia durante lo sprint (Mann e coll., 1986), che nel corso di tutti i movimenti di cutting (Neptune e coll., 1999). Gli studi di Neptune, in particolare, evidenziano come l’intero gruppo dei muscoli adduttori, e l’AL precipuamente, abbiano durante i movimenti di cutting, il ruolo di stabilizzare la pelvi piuttosto che quello di fornire potenza per il movimento. Tali dati confermerebbero i precedenti studi di Green e Morris (1970) sul ruolo dell’AL nell’ambito della deambulazione. In buona sostanza, i risultati di questi studi ci suggeriscono come l’AL non rivesta un ruolo di primaria importanza nell’ambito della performance atletica. In seguito a tenotomia i pazienti ritornano allo sport agonistico dopo un periodo di mediamente 19.8 settimane (range 27-14 settimane) (Akermark e Johansson, 1992; Van Der Donckt e coll., 2003; Atkinson e coll., 2010). Il 70.6% (range 90-62%) dei soggetti è in grado di ritornare allo stesso livello prestativo, il 24% (range 32-9%) ritorna all’attività agonistica ma ad un livello minore rispetto al precedente ed il 5% deve abbandonare l’attività sportiva (Akermark e Johansson, 1992; Van Der Donckt e coll., 2003; Atkinson e coll., 2010). E’ interessante notare che alcuni Autori associano alla tenotomia una riparazione del pavimento pelvico (Meyers e coll., 2002; Nicholas e Tyler, 2002). Il razionale scientifico su cui si basa la tenotomia dell’AL è la già citata ipotesi del fenomeno dello stress-shielding (Almekinders e coll., 2003; Orchard e coll., 2004).

Tratto da: Bisciotti Gian Nicola. I tendini volume II. Edizioni Calzetti e Mariucci. Perugia, 2014. 

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